Il termine resilienza ha varie declinazioni. In ingegneria è la capacità di un materiale di assorbire energia di deformazione elastica, in psicologia è l’attitudine di far fronte in maniera positiva agli eventi traumatici, nell’arte è la forza che spinge un’opera a conservare attraverso l’estetica la sua particolarità, nonostante la crescente soggettivazione.
Il collettivo riassume attraverso le varie sfumature di questo termine, il significato della sua opera; una ricerca nella memoria, una rielaborazione e fusione in immagini ed oggetti di sensazioni vissute durante l’esperienza all’interno di quello che ormai è un luogo “proibito”, il polo siderurgico dismesso Italsider, situato a Bagnoli, quartiere della periferia ovest di Napoli.
La storia del gruppo Italsider parte da lontano, erano i primi del ‘900 quando si aprivano i primi stabilimenti in tutta la penisola, quello dell’area flegrea, vide la luce, per l’esattezza nel 1908, grazie ai fondi stanziati dal governo per il risorgimento economico di Napoli. Il consorzio diventa leader del settore negli anni ’60, ma varie vicissitudini negli anni ’80, portano alla chiusura di numerose fabbriche, quella di Bagnoli viene definitivamente abbandonata nel 1991. Da quel momento in poi il problema principale è divenuto quello della dismissione e della restituzione alla cittadinanza di un’area immensa.
Il gruppo composto da De la Cruz, de Franciscis ed Autiero affronta il tema tramite la trasformazione in installazioni di oggetti industriali risalenti all’epoca in cui l’industria era in funzione e propone una serie di immagini scattate nell’arco di 6 mesi durante il 2015, all’interno della
 zona abbandonata.